Sinossi:

Quando ci approssimiamo a fare un “libero”, che in fondo è la simulazione di un duello, cosa ci spinge? Che stato d’animo abbiamo? Cosa c’è dietro al gesto? Con quale atteggiamento ci approcciamo? …e, Qual è l’intenzione? C’è la profonda coscienza, tanto predicata ed ostentata, di avere in mano un’arma affilata ed appuntita? Non per ultimo, abbiamo la coscienza del fatto che stiamo, virtualmente, per ferire od uccidere l’altro duellante?
L’arte del duello è stata parte integrante ed accettata della società e dalla legge, per secoli! Noi depositari della tradizione abbiamo l’obbligo morale di approcciare il “libero” con atteggiamento corretto.
Svisceriamo assieme la questione andando a fondo nell’animo del duellante, nel nostro animo, che dovrebbe essere addestrato all’istinto misurato, all’atto “ammaestrato” dalla costante pratica.
Jacopo Gelli ci da alcune dritte su come dovrebbe essere la persona “duellante”, andiamo a leggere ed analizzare un passo del suo ottimo manuale “Scherma italiana”:

>La scherma da al carattere maggiore condiscendenza e più forte energia; SVILUPPA E INTELLIGISCE LA CORTESIA; inspira al tiratore confidenza nel suo vigore, e infonde in lui sentimento cavalleresco, il quale aumenta col crescere della reputazione del
gentiluomo. Educa questi a REPRIMERE IL GESTO E TRATTENERE LA PAROLA CHE OFFENDE, pronta a sfuggirgli, perché la forza gli impone la moderazione e glie la rende facile.
La statistica del duello prova, infatti, che il maggior numero di combattimenti cavallereschi accade appunto tra coloro che poco o nulla s’intendono di scherma; poiché quelli che in tale ARTE nobilissima sono provetti, da questo salutare esercizio hanno appreso a misurare le conseguenze funeste, che da un duello possono derivare, e le parole e gli atti che allo sciagurato uso del duellare conducono.<<

Come base per la nostra conversazione non andremo a esaminare un trattato di scherma, bensì un brano che descrive un duello presente nel romanzo “Il piacere” scritto da Gabriele D’Annunzio nel 1888.
Pare ragionevole ipotizzare che il Vate racconti questo duello prendendo spunto da esperienze realmente vissute poiché, sia nella vita di tutti i giorni che nell’ambito militaresco di fine ottocento e primi del novecento fosse non inconsueto che, per svariati motivi, si finisse a duello, infatti era la più semplice forma per ottenere giustizia, quindi leggeremo e smonteremo assieme questo testo.

 

Per chi volesse approfondire, viene linkato qui di seguito il passo del libro da cui tutto ciò viene estratto:

https://it.m.wikisource.org/wiki/Il_piacere/V

oppure raggiungibile inquadrando il seguente QR-code

 

Bio:

Fausto Lusetti, nato a Volta Mantovana, una piccola città medievale nel nord Italia, e cresciuto nella vicina città di Cerlongo, la città tradizionale della famiglia Lusetti.

La fascinazione di Fausto per le spade è iniziata quando, all’età di 5 anni, vide il poster del film di John Boorman “Excalibur”.

Molti anni dopo, nel 1996, dopo aver completato il servizio militare, assistette a una rievocazione storica a Soave di Verona e fu introdotto alla compagnia storica “La Zoiosa” a Mantova, dove iniziò a praticare la spada lunga.

Nel 2001 incontrò il Maestro Andrea Lupo Sinclair e l’ASD FISAS, scoprendo una nuova passione per la spada da rottura e la spada a lato. Ciò lo portò a raggiungere il grado di Provost nella spada lunga e nella spada a lato nei primi anni 2010.

Dopo aver studiato brevemente la spada e lo scudo I-33 con il Provost Natasjia Solgaard Grønli, si appassionò a questo sistema e continuò a studiarlo, coinvolgendo il suo amico e collega Davide Rovelli di Belluno, che in seguito lavorò alla traduzione del documento dal tedesco e dal latino.

Fausto fondò la “Sala d’arme Confraternita San Giorgio”, che in seguito si espansero in due sedi grazie al numero di studenti provenienti da Mantova e dalle aree circostanti.

Ora è un ricercatore indipendente con oltre 20 anni di esperienza soprattutto nei sistemi più antichi come la spada lunga e la spada a lato.